Emergenza Covid-19: dodici considerazioni

Il nostro punto di riferimento deve rimanere il Signore e non il coronavirus. È necessario affermare il controllo di Dio sull’intera situazione e la necessità di pentirsi davanti a Lui.

La prima considerazione riguarda la constatazione dell’assoluta novità di questa emergenza dovuta al coronavirus. Nella società attuale non è mai esistito qualcosa del genere. Le città offrono un quadro surreale e anche spettrale, qualcosa che mette in discussione consuetudini consolidate da anni. Sarebbe una grande ingenuità assimilare questo tempo a tutti gli altri. Impossibile non avvedersi che sta accadendo qualcosa (cfr Mt 24,39), anche se si fa fatica a “discernere” i “segni dei tempi” (Mt 16,3). Siamo obbligati a fare una pausa nella vertiginosa frenesia del quotidiano e a riconoscere i nostri grandi limiti. Una pausa che oltre a mettere in discussione questioni personali e modeste, mette anche in discussione questioni di sistema ampie e profonde.

La seconda considerazione riguarda la problematizzazione dei programmi previsti. Tutto quello che si era pensato di fare deve essere rimodulato in una cornice profondamente mutata. Molte cose date per scontate e forse normali nell’ambito di una certa “arroganza”, hanno dovuto fare i conti con un cambiamento di paradigmi (Giac 4,13-16). Fa sicuramente del bene avere maggiore coscienza della fragilità e dell’incertezza degli schemi usuali e mettere in discussione certezze troppo scontate. Accontentarsi di messaggi rassicuranti è insufficiente. Non basta dire e dirsi “andrà tutto bene”. Un mondo che si nutre di ottimismo non ha alcuna garanzia davanti alle negatività. Non basta dire e dirsi “stiamo uniti”. Un mondo autoreferenziale è un mondo con una speranza modesta. Vale allora la pena rivedere schemi di vita troppo banali.

La terza considerazione ha a che fare con l’ansia registrata. L’ansia per un virus è comprensibile ed è sacrosanta. È giusto che davanti ad esso vi possa anche essere una certa apprensione. Viene però da chiedersi se non sarebbe il caso d’avere ansia per questioni altrettanto se non più gravi. Perché non interrogarsi sul senso della propria vita e sull’estraneità nei confronti del Dio dell’alleanza? “Che serve all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde o rovina se stesso?” (Lc 9,25). Si è sicuri d’avere paradigmi adeguati alla realtà? Si è sicuri che l’architettura del mondo così com’è concepita sia veramente coerente e sana? Non è illecito pensare che vi possano essere squilibri gravidi di conseguenze.covid

La quarta considerazione riguarda il senso d’impotenza della scienza. C’è da avere un enorme debito di riconoscenza nei confronti della scienza e del suo continuo progresso. C’è da ammirare chi ha svolto e svolge il proprio compito con sacrificio e abnegazione a livello medico, infermieristico, a livello della protezione civile e degli amministratori locali. Non si può d’altro lato non rilevare come in qualche caso sia presente un sentimento d’onnipotenza da parte della scienza. Questa vicenda aiuta a sottolineare quanto sia sbagliato pensare alla medicina con una fiducia incondizionata. Le statistiche riferiscono di persone positive, guarite e … decedute. L’evento mette allora giustamente in crisi le sicurezze della società della tecnica e del controllo, perché vi sono limiti oggettivi.

La quinta considerazione ha a che fare con la problematicità dell’autorità. Si è toccato con mano il fatto del controllo più o meno rigido da parte dello stato su individui e società. Tanti diritti affermatisi nel corso degli anni (di riunione, di associazione, d’impresa, di famiglia, dell’istruzione, del culto pubblico) sono stati cancellati. Ma se un diritto dipende dalla discrezione dell’autorità è un diritto discutibile. Qualunque sia la ragione prudenziale usata dall’autorità per far fronte all’emergenza, le soluzioni danno a pensare. Difficile rimanere indifferenti rispetto alla divinizzazione del mondo e al ridimensionamento così forte dell’idea dell’uomo in quanto essere sociale.

La sesta considerazione riguarda le conseguenze di questo evento. Si è coscienti delle conseguenze non solo sanitarie della questione, ma anche di quelle economiche e geopolitiche. È doveroso inquietarsi all’idea che vi possano essere speculazioni economiche e danni durevoli nell’economia reale. È altresì legittimo preoccuparsi per la modifica di assetti consolidati a danno di certi paesi ed è quindi giusto problematizzare la rimodulazione di certi “equilibri” a livello geopolitico. È evidente che certe rimodulazioni hanno anche una portata spirituale. Un’analisi realistica della realtà non dovrebbe rimanere indifferente a tale dimensione. Chi può sostenere che sia più importante il breve periodo dell’economia e del la politica rispetto alla dimensione spirituale?

La settima considerazione riguarda l’idea che una pandemia come il coronavirus sia una punizione da parte del Creatore. Attribuire a Dio la responsabilità di voler punire con la malattia, la morte, le difficoltà finanziarie ed economiche, la sobolognesi5cietà e le relazioni, lascia il tempo che trova. Né ha senso pensare che Dio sia indifferente a un simile problema. Il punto di riferimento deve rimanere il Signore e non il coronavirus. “Il Signore fa morire e fa vivere” (1Sam 2,6). Poiché la vita umana è un culto a Dio è necessario affermare il suo controllo sull’intera vicenda e il bisogno di pentirsi davanti a Lui. Cosa potrebbe mai essere la vita umana senza la provvidenziale azione di Dio verso ciascuno?

L’ottava considerazione riguarda il silenzio. La rumorosità usuale che caratterizza il ritmo della vita sembra essere venuta meno. Le cose di sempre sono sparite senza far rumore. Viene da chiedersi se si possa imparare dal silenzio. Kierkegaard, firmandosi Johannes de Silentio ed evocando le decisioni silenziose d’Abramo scrisse: “Nessun uomo che abbia una cattiva coscienza può sopportare il silenzio” (Timore e tremore). Per il profeta Elia l’ascolto della Parola di Dio passò attraverso un “rumore di silenzio” (qôl demãmâ daqqâ, 1 Re 19,12) anziché il fragore precedente e fu lì che trovò quella forza e quell’energia piena di saggezza di cui aveva bisogno. Chissà se non vi possa essere del bene nell’inquietudine dello stare soli con se stessi.

La nona considerazione riguarda la drammatica interruzione dei legami di comunità. Di punto in bianco ci si è dovuti tenere a distanza gli uni dagli altri. Per chiunque sia cosciente del diffuso problema di socializzazione del nostro tempo, la cosa appare ancora più drammatica. Sembra che l’emergenza abbia ricacciato ciascuno indietro verso un mondo ristretto e egolatrico privando dei propri fratelli e sorelle e dei propri amici. Ma la vita umana non è fatta per la solitudine. C’è da rallegrarsi per nuove opportunità di collegamento tra cristiani e chiese, ma la tecnologia non può risolvere la questione delle relazioni. C’è da pentirsi e chiedere perdono per ogni volta in cui non si è stati pienamente consapevoli dei doni usuali e dei privilegi della vita comunitaria e dell’unità del vero popolo di Dio.

La decima considerazione riguarda la pietà personale. La Parola di Dio insegna che “ogni cosa coopera al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). È straordinario prendere nuovamente coscienza delle benedizioni proprie ai legami di comunità, ma udire anche l’invito di Dio: “Fermatevi…” (Sal 46,10). Il rallentamento dei tempi sul piano personale ha favorito spazi più lunghi per la meditazione della Parola, per la lettura di un libro, per la preghiera, per riascoltare una predicazione trascurata. E che benedizione! Progetti lasciati da parte per un certo tempo hanno potuto essere ripresi. Questa pausa è l’occasione per “riflettere bene” e ristabilire le priorità (Ag). Per le persone timorate di Dio i Suoi giudizi si traducono sempre in incoraggiamento (Ap 5-6).

L’undicesima considerazione riguarda la testimonianza. Talvolta si ha difficoltà a trovare temi comuni d’un certo spessore per un’interazione utile tra le persone. La comunicazione sembra talvolta avere qualcosa d’artificiale. Questa è un’occasione straordinaria. Si può interagire usando banalità, facendo da veline ai decreti del governo e delle regioni, o cercando qualcosa di più significativo. La chiesa può fare udire una parola diversa, una parola con una visione del mondo diversa. Parlare senza cogliere i tempi di Dio richiama la pura retorica. Anche se non sta ai credenti sapere quali siano i tempi, ci sono momenti in cui Dio permette di collegare la sua parola con gli accadimenti del momento. “Questo è quanto fu annunziato…” (At 2, 16). Impossibile avere la pretesa di discernere il piano divino. C’è bisogno che lo Spirito Santo ispiri, guidi e conferisca la tempra della freschezza da alto affinché a questioni drammatiche non si risponda con deboli risposte.

La dodicesima considerazione riguarda l’inevitabile emergere di diverse forme di religiosità anche in questo frangente. Alcuni pensano che qualunque forma di spiritualità rifletta la medesima preoccupazione e di per se meriti considerazione. La ricerca del trascendente sarebbe un modo per dare senso alla precarietà umana e andrebbe bene qualunque essa fosse. Se anziché arrestarsi a un giudizio così frettoloso e superficiale ci si interroga più seriamente ci si renderà facilmente conto che certe forme non sono altro che superstizione, mentre c’è bisogno della rivelazione. Rivolgersi a una madonnina o fare qualche modesto itinerario è diverso dal porsi nel segno della rivelazione biblica. Gli idoli o Dio. Tra i due non è possibile alcuna sintesi. Se questa emergenza sarà usata perché appaia ancora più netta la distinzione tra superstizione e pietà, Dio potrà essere ancor più glorificato.

Pietro Bolognesi

Professore di teologia sistematica. Nato a Bologna nel 1946, ha compiuto i suoi studi a Bologna e a Vaux-sur-Seine (Francia) dove ha conseguito la laurea in teologia. La Faculté Jean Calvin (Aix-en-Provence) gli ha conferito il dottorato honoris causa (2011). È pastore della Chiesa riformata battista a Padova. È professore di teologia sistematica all’IFED di Padova (1989-). È stato membro della Commissione teologica dell’Alleanza Evangelica Mondiale ed è membro del Collegio dei Garanti della FEET (Fellowship of European Evangelical Theologians). Ha fondato e diretto la rivista Studi di teologia (1978-2002) ed è stato Direttore di Ideaitalia (1997-2012).

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